Si chiama Orange Wine la tipologia di vini che si affianca ai “rossi” ai “rosati” e ai “bianchi”, ed è sempre più richiesta. Oggi, giovedì 22 aprile, è la Giornata della Terra, manifestazione mondiale nata per ricordarci di agire e produrre per garantire alle generazioni future le risorse di cui disponiamo, in altre parole salvaguardare il pianeta e vivere in maniera sostenibile. La scelta di parlare di vini associati a metodi produttivi a basso impatto ambientale – come, appunto, gli Orange - non è dunque casuale.
È proprio la sempre crescente sensibilità alla tematica ambientale il motivo per questa nuova “classe” è sempre più ricercata, affiancato dalle peculiarità organolettiche che distinguono la tipologia e che, pian piano, stanno scavalcando i pregiudizi che all’inizio vigevano nel mondo degli assaggiatori e della sommellerie.
Vitigni a bacca bianca, lunghe macerazioni: cosa sono gli Orange Wine
È più pertinente tradurre l’espressione “Orange wine” in vini “aranciati” che, in maniera poco elegante, “vini arancioni”. Anche perché la tonalità, come spiegheremo a breve, può variare. Opachi, con la velatura tipica dei macerati, il colore è dovuto al fatto che gli Orange sono prodotti a partire da uve a bacca bianca, ma seguendo il metodo della vinificazione in rosso, quindi con macerazioni e affinamenti sulle bucce che prevedono tempi più lunghi rispetto a quelli della vinificazione in bianco. Il termine “orange” è solo – potremmo dire – indicativo, sia per il fatto che il colore è ovviamente il risultato di vitigni e tempi di macerazione diversi, sia perché la traduzione di “orange” è sì “arancione”, ma a volte indica un vino prodotto con una lunga macerazione e semplicemente caratterizzato da una variante di giallo paglierino molto molto intenso.
Macerati, aranciati, “amici” dell’ambiente
Non è ancora regolata da nessuna DOC, ma la tipologia si sta ritagliando una certa notorietà nel mondo del vino e l’interesse degli assaggiatori curiosi cresce. I poveri “Orange” sono vittime della nota resistenza che si oppone a quella, invalicabile, ai vini naturali, non regolati – o forse non ancora, chissà - a livello normativo. Ad avvicinare le due tipologie è l’applicazione dei soli lieviti indigeni per la fermentazione spontanea che, per questo, dovrebbe “avviarsi” con maggiore facilità. Chiariamo che dire “orange” non significa dire naturali, e viceversa. Gli Orange stanno delineando sempre di più la loro identità vertendo sì sulla distinzione dal punto di vista organolettico ma anche dal punto di vista della sostenibilità. Il motivo per cui sono associati ad un minor impatto ambientale è perché vengono prodotti con metodi molto simili a quelli dei modelli integrati: il biologico e il biodinamico. Presuppongono che si scelgano terreni vocati alla coltivazione vinicola e ricchi di sali minerali, la riduzione nell’utilizzo di diserbanti, l’utilizzo moderato di rame e zolfo, l’abolizione di alcune fasi della vinificazione che possano alterare il prodotto finale e il solo utilizzo – come abbiamo già accennato – di lieviti indigeni per facilitare la fermentazione.
Il viaggio in Georgia e il ritorno all’anfora: come gli Orange riemergono in Italia
Gli Orange Wine, o meglio le tecniche di produzione della tipologia, sono in realtà un revival. Sembra che in Georgia stia ricominciando la produzione di vini di questo genere, con lunghe macerazioni e soprattutto con l’utilizzo, per la fermentazione, dei kvevri, ovvero le antiche anfore del Caucaso. Quando il produttore Josko Gravner andò in visita proprio in Georgia per ritrovare il sapore atavico del vino, stanco della piega sempre più stereotipata che stava assumendo il suo sapore specialmente nel nuovo mondo, era l’anno duemila. La rivoluzione comincia da Oslavia, sezione di Gorizia in cui risiede la cantina di Gravner e dallo stesso produttore, imitato poi da altri che cominciano ad adottare le stesse tecniche, creano vini dalle caratteristiche simili, aranciati e ottenuti con lunghe macerazioni.
Cominciare dalla Sicilia: il Pithos Bianco della cantina COS
Per avvicinarsi alla tipologia senza andare troppo lontano, si potrebbe cominciare degustando il Pithos Bianco della Cantina COS, realtà costruita nel 1980 dal progetto di Giambattista Cilia, Cirino Strano e Giusto Occhipinti tra Acate e Vittoria. Ottenuto da Uve Grecanico, le peculiarità della vinificazione consiste nella fermentazione alcolica spontanea svolta in anfore di terracotta. In quanto materiale neutro, la terracotta inficia meno il profilo aromatico del vino, gli restituisce profondità e un maggiore passaggio d’ossigeno.
Vino e sostenibilità: cosa fare
Parlare degli Orange Wine il 22 aprile è un modo per ricordare agli assaggiatori che la responsabilità dei confronti dell’ambiente è sì del produttore ma anche del consumatore. Il primo può cercare di rendere meno inquinante ogni fase della filiera produttiva, il secondo può essere più responsabile facendo comprendere l’importanza dei metodi sostenibili con le sue scelte d’acquisto. In enoteca, così come online o dal rivenditore sotto casa, alle scelte dettate principalmente dalle proprie preferenze si potrebbero alternare quelle orientate da una maggiore sensibilità, una maggiore informazione sulle cantine che adottano metodi sostenibili e in tal modo, chissà, scoprirsi amanti di qualcosa – vini, tipologie, novità – imbrattati inizialmente di inutili pregiudizi che, nel mondo del vino, possono solo guastare la curiosità degli assaggiatori.